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giugno 25, 2010

ELENCO DEI MAREMOTI IN ITALIA APARTIRE DALL’ANNO 1000 d.c.-markrage.it

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ELENCO DEI MAREMOTI IN ITALIA APARTIRE DALL’ANNO 1000 d.c.
ANNO LOCALITA’ CAUSA DEL MAREMOTO RUNUP MAX.ALT. INTENSITA’
1169 Stretto di Messina Sisma in mare       11 grado ME              4
Inondazione e distruzioni a Messina
1511 Nord Adriatico Sisma a terra         10 grado ME              2
Forte innalzamento del livello marino a Trieste
1564 Costa Azzurra Sisma a terra        10 grado ME              3
Inondazione ad Antibes
1627 Gargano Sisma a terra        11 grado ME 3 metri             5
Si tratta di uno dei maggiori tsunami che hanno interessato le coste italiane dell’Adriatico meridionale. Lo tsunami fu innescato da un terremoto e colpì la zona costiera tra Fortore e San Nicandro, nei pressi del Lago di Lesina nel Gargano Settentrionale.
La zona, dopo un primo ritiro delle acque, venne completamente sommersa dal mare.  Il fronte d’acqua associato allo tsunami deve essere stato veramente impressionante: cronache dell’epoca riferiscono che la città costiera di Termoli “precipitò” nel mare; sicuramente si tratta di un’iperbole letteraria, ma rende molto bene la drammaticità dei fatti.
Anche altre città furono interessate dall’evento.  A Manfredonia, città costiera uscita praticamente indenne dagli effetti del terremoto, si registrò un runup dell’ordine di 2-3 metri.
1631 Campania Eruz. vulcanica a terra 4               3
Ritiro nel Golfo di Napoli
1646 Toscana Sisma a terra          7 grado ME               3
Aumento del livello marino a Livorno
1672 Adriatico Centrale Sisma in mare         9 grado ME               2
Ritiro ed inondazione a Rimini
1693 Sicilia Orientale Sisma in mare         4 grado ME               4
Ritiro considerevole ed inondazione. Catania, Augusta e Messina furono colpite da uno tsunami che buttò sulla spiaggia numerose imbarcazioni
1726 Nord Sicilia Sisma a terra          9 grado ME               2
Ritiro a Palermo
1742 Toscana Sisma in mare         6 grado ME               2
Oscillazioni del mare nel porto di Livorno
1783 Calabria Tirrenica Sisma a terra       11 grado ME 9 metri              6
La Calabria sperimentò la più violenta e persistente sequenza di terremoti di cui si abbia memoria negli ultimi duemila anni.
Il giorno 5 febbraio venne dato l’avvio a tale terribile sequenza con un terremoto che innescò uno tsunami che colpì duramente le coste calabresi da Messina a Torre del Faro e da Cenidio a Scilla.
Messina, Reggio Calabria , Roccella Ionica, Scilla e Catona ebbero le strade allagate e l’acqua del mare si addentrò nella terraferma per quasi due chilometri.
Il giorno seguente si verificò una seconda scossa tellurica e il conseguente tsunami provocò un grandissimo numero di vittime, soprattutto nella Calabria meridionale (Scilla): la particolarità di questo tsunami è che non venne innescato direttamente dalla scossa di terremoto, ma dallo scivolamento in mare di una parte del Monte Paci.
Molti abitanti di Scilla, spaventati dalla terribile sequenza delle scosse, cercarono rifugio sulla spiaggia, ma qui vennero sorprese dalla terribile ondata alta fino ai tetti delle case: le vittime in seguito allo tsunami furono oltre 1.500.
Il massimo runup (9 metri) venne registrato a Marina Grande (Scilla), ma in molte altre località (Peloro, Torre del Faro, Punta del Pezzo) il fronte d’acqua raggiunse la già notevole altezza di circa 6 metri.
1805 Campania Sisma a terra         10 grado ME                2
Aumento del livello del mare nel Golfo di Napoli
1818 Sicilia Orientale Sisma a terra          9 grado ME                2
Onde anomale a Catania
1823 Nord Sicilia Sisma in mare         8 grado ME                4  
Barche trascinate in mare e dannaggiate a Cefalu’
1828 Mar Ligure Sisma a terra          8 grado ME                2
Naufragio nel porto di Genova
1832 Calabria Ionica Sisma a terra       10 grado ME                2
Inondazione a Magliacane (Crotone)
1836 Calabria Ionica Sisma a terra          9 grado ME                3
Ritiro/inondazione: barche danneggiate
1846 Toscana Sisma a terra          9 grado ME                3
Aumento del livello di una yarda a Livorno
1875 Adriatico Centrale Sisma in mare         8 grado ME                2
Inondazioni a Rimini e Cervia
1887 Costa Azzurra Sisma in mare      10 grado ME 1 metro e mezzo              3
Notevole ritiro del mare, barche danneggiate
1894 Calabria Tirrenica Sisma a terra          9 grado ME                3
Navi trasportate a terra a Reggio Calabria
1905 Calabria Tirrenica Sisma a terra       10 grado ME               6 metri              3
Forte inondazione e navi danneggiate
1907 Calabria Ionica Sisma a terra          9 grado ME                3
Inondazioni a Capo Bruzzano
1908 Stretto di Messina Sisma in mare       11 grado ME             13 metri              6
Il più intenso dei terremoti in Italia, che provocò un violentissimo tsunami, in assoluto il più grande mai registrato nel nostro Paese, che ovunque si manifestò con un iniziale ritirarsi delle acque del mare seguito dopo pochi minuti da almeno tre grandi ondate che portarono ovunque distruzione e morte.
Le località più duramente colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi e Riposto, S. Alessio, Briga e Paradiso su quelle siciliane.
I maggiori runup furono registrati a S. Alessio (11.7 metri) e a Pellaro (13 metri), ma in molte altre località l’altezza dell’onda fu di 8-10 metri, e dovunque le case situate nelle vicinanze della spiaggia vennero spazzate via dall’impeto dell’onda.
1916 Isole Eolie Sisma a terra          7 grado ME             10 metri              3
Aumento del mare a Stromboli
1919 Isole Eolie Eruz. vulcanica sottomarina 3                3
Inondazione a Stromboli
1930 Isole Eolie Eruz. vulcanica sottomarina 3  2 metri e mezzo              3
Ritiro-inondazione (Stromboli)
1944 Isole Eolie Eruz. vulcanica sottomarina 2                4 
Inondazione/ abitazioni distrutte
1954 Isole Eolie Eruz. vulcanica sottomarina 2                2
Debole tsunami a Stromboli
1968 Costa Azzurra Sisma in mare    5 grado ME                2
Ritiro e inondazione ad Alassio
1979 Adriatico Merid. Sisma in mare     9 grado ME                4
Onda distruttiva a Kotorbay
1979 Costa Azzurra Frana sottomarina               3 metri              3
Onde alte tre metri ad Antibes
1990 Sicilia Orientale Sisma in mare      8 grado ME                2
Onde anomale ad Augusta
2002 Isole Eolie Eruz. vulcanica               3 metri              2
Inondazione a stromboli per un a frana provocata dall’eruzione                       

  http://www.markrage.it/maremoti_in_italia.htm

5 commenti »

  1. L’Etna causò enorme tsunami 8000 anni fa
    Posted by Gabriele Ponzoni (gabriele) on 01-23-2008 at 10:48 AM
    Sezione Tsunami: Un pò di tutto.. >>

    Le prove in una ricerca dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia

    Ottomila anni fa una colossale frana di 35 chilometri cubici di materiale lavico, circa un decimo del cono sommitale dell’Etna, si staccò dal fianco orientale del vulcano e si inabissò nel Mare Ionio, causando uno tsunami a confronto del quale quello del 2004 nel Sudest asiatico impallidisce. Probabilmente il più grande tsunami dalla comparsa dell’uomo sulla Terra. Durante i dieci minuti che la frana impiegò a fermarsi sui fondali dello Ionio, si sollevò in mare una muraglia di acqua a forma di anfiteatro alta fino a 50 metri. Poi l’ondata, viaggiando a velocità fra i 200 e i 700 km all’ora (più lenta nei fondali bassi e più veloce nel mare profondo), si propagò a Est, investendo, in rapida successione, Sicilia Orientale, Calabria, Puglia, Albania, Grecia, Creta, Turchia, Cipro, Siria e Israele; e a Sud, colpendo l’Africa Settentrionale, dalla Tunisia fino all’Egitto.
    LE PROVE – Le prove di quell’antica catastrofe, che spazzò gli insediamenti preistorici costieri del Mediterraneo Orientale e Meridionale, sono state da poco scoperte dai ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), grazie a una serie di prospezioni sottomarine e a un’analisi al computer della forma dei depositi abissali. Lo studio, appena pubblicato sull’autorevole rivista scientifica internazionale Geophysical research letters col suggestivo titolo di «Lost tsunami» (lo tsunami dimenticato), è stato finanziato dal Dipartimento di Protezione Civile e rappresenta anche un prezioso contributo per valutare il rischio di possibili maremoti nel Mediterraneo.
    ERUZIONE O TERREMOTO – «Non sappiamo quale fu la causa di quell’immane collasso: forse un’eruzione più abbondante del solito, forse un terremoto – spiega il professor Enzo Boschi, presidente dell’Ingv e autore dello studio assieme ai geofisici Maria Teresa Pareschi e Massimiliano Favalli-. Fatto sta che un’enorme quantità di depositi di lava che si erano accumulati per millenni sul ripido versante dell’Etna affacciato sul Mare Jonio, precipitò giù e finì in parte sulla costa ai piedi del vulcano, e per la maggior parte sul fondo del mare, fino a circa 20 km dalla costa stessa. Le prove del megatsunami e dell’epoca in cui esso avvenne le abbiamo raccolte lì e nei fondali del Mediterraneo, fra gli strati dei sedimenti sottomarini. Sull’Etna, quella che oggi chiamiamo la Valle del Bove, una grande concavità sul fianco orientale del vulcano che raccoglie gli attuali flussi di lava diretti verso Est, è la cicatrice residua di quel lontano evento, in gran parte colmata dalle successive eruzioni».
    TSUNAMI DIMENTICATO – Ma perché si parla di “tsunami dimenticato”? «Perché le tracce, sotto forma di depositi caotici scaraventati dalle onde del maremoto sulle coste del Mediterraneo, oggi non sono più visibili – aggiunge l’altro autore dello studio, la professoressa Maria Teresa Pareschi della sede Ingv di Pisa -. Infatti, negli ultimi 8000 anni, il livello del mare è ovunque salito di diversi metri a causa della deglaciazione. Quelle che erano le località costiere di allora, ora sono sommerse». Allo scopo di ricostruire gli effetti del cataclisma, spiega la Pareschi, sono stati necessari due tipi di ricerche: «Da un lato una campagna di prospezioni sismiche, con terremoti artificiali effettuati nel Mare Jonio di fronte all’Etna, che ci ha permesso di ricostruire i profili dei detriti franati giù e di concludere che i volumi del materiale oggi sommerso corrispondono a quel che si staccò dal monte, formando la Valle del Bove. Dall’altro una simulazione dello tsunami al computer, grazie alla quale abbiamo potuto ricostruire sia le modalità di propagazione delle onde di maremoto, sia le perturbazioni risentite fin negli abissi, dove i sedimenti che giacevano sul fondo del mare, furono violentemente sconvolti, assumendo un configurazione caratteristica. Analizzando poi le attuali carte batimetriche, cioè della topografia del fondo marino, abbiamo ritrovato proprio quel tipo di configurazione descritta dalla nostra simulazione al computer».
    SIMULAZIONE – Ma eccola la simulazione del «Lost tsunami», un’animazione tridimensionale a colori, che i ricercatori ci illustrano mentre le immagini scorrono su un grande schermo nei laboratori Ingv di Roma. Mostra, innanzitutto, la muraglia d’acqua che, pochi minuti dopo il grande “splash”, si abbatte sulla costa orientale della Sicilia: Catania, Siracusa e Messina, senza passare praticamente nel Tirreno grazie allo sbarramento dello Stretto. Quindi, dopo un quarto d’ora, viaggiando nello Jonio, raggiunge la Calabria, dove le onde sono ancora alte 40 metri. Fra una e due ore dopo tocca alle zone costiere dell’Albania e della Grecia di essere sommerse da 10-15 metri d’acqua. Due-tre ore dopo è la volta della Libia, della Tunisia e dell’Egitto, raggiunte da ondate di 8-13 metri. Tre-quattro ore dopo, vengono inondate le spiagge del Libano, Israele e Siria, ma stavolta con altezze dell’onda più modeste (si fa per dire), attorno a 4 metri. A quei tempi la civilta’ neolitica era fiorente nella Mesopotamia (fra il Tigri e l’ Eufrate), con molti villaggi dediti all’agricoltura e all’allevamento del bestiame; ma ancora diradata nel Mediterraneo. Tuttavia, sulle sponde del Vicino Oriente e dell’Africa Settentrionale dovevano esistere diversi insediamenti costieri che furono spazzati via dalle ondate. «Proprio in Israele c’è, secondo noi, l’unica testimonianza tuttora emersa del disastroso impatto costiero dello tsunami: il villaggio neolitico di Atlit-Yam che, come risulta dagli scavi archeologici, fu abbandonato improvvisamente – riferisce la Pareschi, che ora sta estendendo l’appassionante ricerca ad alcuni aspetti paleoambientali -».
    SANTORINI E ATLANTIDE – Una ricaduta storica della nostra ricerca consiste nell’aver provato che alcuni depositi sottomarini del Mediterraneo Orientale, prima attribuiti a un’eruzione del vulcano Santorini, in Grecia, sono invece dovuti al collasso dell’Etna di 8000 anni fa. E perché no, lo stesso mito di Atlandide, la misteriosa isola inghiottita dalle onde di cui parla Platone, potrebbe essere nato dal megatsunami dell’Etna”. Il passo successivo che i ricercatori dell’Ingv intendono compiere è di verificare se le mega-frane dell’Etna in grado di suscitare maremoti hanno, come si sospetta, una certa periodicità. La caccia alle tracce sotto forma di particolari depositi terrestri e sottomarini è aperta: «Con lo scopo di essere consapevoli di eventuali rischi ricorrenti e di allestire per tempo adeguate misure di controllo e di prevenzione», conclude il professor Boschi.
    Franco Foresta Martin
    03 dicembre 2006 dal sito del Corriere della Sera

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    Lo sapevate che …:

    La più grande onda di tsunami mai osservata nel mondo fu generata da una frana sottomarina di circa 40 milioni di m3di roccia e scatenata da un terremoto: tutto ciò generò una gigantesca onda solitaria di circa 520 metri di altezza che inondò, alla velocità di 160 Km/h, le sponde della baia di Littuya Bay, in Alaska nel 1958.
    L’Etna ha causato un mega tsunami nel Mar Mediterraneo con onde alte anche (sembra) 50 metri!
    Nel 2800 a.C. sia avvenuto uno spaventoso tsunami (vedi articolo) con onde alte anche 200 metri nell’oceano Indiano!
    Più della metà (53.3 %) degli tsunami della terra si verificano nel suo maggiore oceano, il Pacifico (per questioni di estensione!);
    Gli scienziati convengono che sia la Nuova Zelanda che l’Australia orientale furono colpite da uno tsunami di proporzioni insolitamente grandi verso la metà del XV secolo

    http://www.exploratetide.com/pages/posts/2006-letna-causF2-enorme-tsunami-8000-anni-fa548.html

    Commento di mirabilissimo100 — giugno 26, 2010 @ 8:17 am

  2. IL VULCANESIMO

    La preistoria: l�origine del mito

    In un’area di antica civilizzazione come è quella mediterranea, molti dei miti e delle leggende su eruzioni preistoriche sono stati cancellati da successive stratificazioni culturali. In tutte le culture mediterranee esistono riferimenti a culti specifici correlabili a quello primordiale del fuoco sotterraneo. Certo è che i crateri infuocati dei vulcani mediterranei dovevano apparire ai naviganti antichi come altrettanti occhi fiammeggianti di esseri giganteschi identificati, in epoca greco-romana, con i Ciclopi.

    Presso i popoli Italici esisteva un etimo Volcanus, Volkanus o Vulcanus, forse di origine indo-europea associato a una divinità messa in relazione al fuoco vulcanico, se è vero che il suo culto aveva uno dei principali centri a Pozzuoli, nei Campi Flegrei (Strabone, V, 246). I Romani ereditarono questo culto dagli Etruschi e finirono per identificare questa divinità con il dio greco Efesto, che impersonava pienamente la forza creatrice dei vulcani. Sembra che il culto di Efesto derivasse ai Greci dai popoli dell’Asia Minore e Cicladici e quindi abbia una sorgente diversa rispetto a quella del dio Vulcano. Questo non fa molta differenza, perché certamente i popoli medio-orientali avevano avuto che fare con le eruzioni dei vulcani delle Cicladi e dell’Anatolia almeno quanto gli Etruschi e gli altri popoli pre-romani con quelle dei vulcani italiani. Il culto di Vulcano fu molto importante soprattutto durante la prima fase della storia della religione nell�antica Roma. Egli era associato con Maia, l�incarnazione della Madre Terra e con Vesta, la dea della Terra. Vulcano era il padre di Caco cui era attribuita la paternità di Servio Tullio, Re di Roma.

    L’intrecciarsi di miti, nati da reminescenze di vecchie eruzioni vulcaniche di diversa provenienza geografica e culturale, è verosimilmente anche alla base delle leggende più famose nell’area mediterranea: La distruzione di Atlantide; la guerra fra i giganti e Zeus; Prometeo che ruba il fuoco agli dei per darlo agli uomini; il ciclope Polifemo ed Ulisse; la Fucina di Vulcano, fabbro di Zeus; l�Averno e la porta degli Inferi.

    Tra queste la più interessante, perchè direttamente correlabile a una eruzione identificabile, è quella relativa alla scomparsa di Atlantide di cui riportano molte fonti intorno al V secolo a.C.. Platone (c. 429-347 a.C.) nei suoi dialoghi di Timeo e Krizia presenta questa storia come raccontata a Kritias dal suo bisnonno, che l�aveva sentita da suo padre Dropides che l�aveva ascoltata dal saggio legislatore Solone (c. 640-560 a.C.), che a sua volta l�aveva appresa da alcuni sacerdoti egizi ma riferita a un violento terremoto o maremoto. Dall�impianto narrativo è chiaro che l�intento platonico è di allontanare e confondere nel tempo le origini della stessa storia in modo da poterla presentare già come mezza realtà e mezza fantasia.

    Nel mito Atlante è il figlio maggiore della Ninfa Climene e di un Titano (oppure, nella versione egiziana del mito, di Poseidone). Uno dei suoi quattro fratelli era Prometeo, colui che rubò il fuoco agli dei per ridarlo agli uomini. La stirpe generata da Atlante, grande conoscitore di tutti i segreti del mare, è un popolo marinaro che vive su di una terra situata oltre le Colonne d�Ercole, che si chiama Atlantide. Come in tutti i miti, i motivi della caduta di questo popolo immensamente ricco e virtuoso, sono di ordine morale. I Keftiù, il popolo che abitava la terra di Atlantide, si lasciarono un giorno vincere dalla crudeltà e dall�avidità, cessando di condividere e ripartire con gli altri le loro immense ricchezze e le loro straordinarie conoscenze del mare. Per questo la loro isola venne distrutta in una notte ed un giorno dagli Dei (c�è chi parla invece degli Ateniesi, autorizzati dagli dei). In questo breve lasso di tempo i porti ed i templi furono sommersi dal fango ed il mare divenne impraticabile, l�isola felice scomparve e con essa la sua civiltà.

    Un�altra leggenda suggerisce un possibile legame tra maremoto, eruzione vulcanica e l’enigma della scomparsa di Atlantide. Talos, in origine divinità solare ma in mitologia il guardiano di Europa e poi di Creta, creato da Efesto manifestava la sua costituzione “vulcanica” scagliando massi contro gli intrusi (Apollonio Rodio, Argonautiche) o li bruciava (Simonide) o si arroventava e li stringeva in un abbraccio mortale (Eustazio) e aveva lava al posto del sangue (Apollonio Rodio, IV; Apollodoro). Talos sarebbe l�impersonificazione del vulcano di Santorini scenario di un’eruzione che potrebbe aver avuto pesanti conseguenze per la civiltà Cretese.

    In base a questa interpretazione, ma soprattutto alla luce dei reperti archeologici rinvenuti a Santorini negli anni �60-�70, l�archeologo greco Marinatos diede un�interpretazione in chiave vulcanologica del mito di Atlantide. Egli notò che i siti minoici nell’isola di Santorini erano coperti da depositi vulcanici prodotti da una eruzione avvenuta tra il 1550 e il 1450 a.C. secondo la datazione con il radio carbonio dei frammenti lignei presenti alla base della sequenza eruttiva. Questa data sembrava in buon accordo con l’inizio della decadenza di Creta. Inoltre l�isola e la civiltà di Santorini potevano corrispondere, non solo alla descrizione di Atlantide, ma anche la sequenza di eventi eruttivi sembrava adattarsi al racconto della distruzione. Il grande volume di pomici emesse che ostacolano la navigazione, l�emissione di grandi nubi ardenti che avrebbero seppellito i templi ed i palazzi di Atlantide ed un collasso calderico finale responsabile della sparizione nel mare dell�isola di Atlantide, tutto corrispondeva alla descrizione Platonica. Inoltre onde di maremoto, partite da Santorini, sarebbero potute risultare distruttive non solo a Creta ma in tutte le zone costiere del mediterraneo orientale. Secondo Marinatos tale eruzione sarebbe stata responsabile dell�istantaneo decadere della civiltà minoica di Creta e spiegherebbe la nascita del mito di Atlantide, oltre a fornire uno spunto interpretativo all’episodio biblico del regresso del Mar Rosso e successivo maremoto durante la fuga dall’Egitto del Popolo Ebraico guidato da Mosè. In realtà, se l�identificazione dell�isola di Santorini con Atlantide resta un�ipotesi affascinante e verosimile, dopo 25 anni di discussione tra archeologi e vulcanologi il ruolo dell�eruzione di Santorini nel determinare il collasso della civiltà minoica è stato molto ridimensionato.

    L�isola di Santorini è stata abitata, sino da epoche preistoriche, da popolazioni cicladiche in stretto contatto con i Cretesi e aveva sviluppato nella media età del bronzo una fiorente e raffinata civiltà raffigurata negli stupendi affreschi di Akrotiri. Tutto questo fu spazzato via a seguito degli sconvolgimenti geologici avvenuti durante il XV secolo a.C. Tuttavia questi eventi furono catastrofici solo a Santorini mentre, per esempio, l�isola di Creta fu interessata solo marginalmente da modeste ricadute di cenere. Anche gli effetti di un possibile Tsunami scatenato dall�eruzione potrebbero essere stati sovrastimati. Nella stessa Santorini lo studio dei siti archeologici ha dimostrato che l�eruzione avvenne quando l�isola era stata già sostanzialmente abandonata dagli abitanti. Ad Akrotiri non sono stati trovati corpi o oggetti preziosi, segno che gli abitanti avevano lasciato il sito in largo preanticipo rispetto l�eruzione. Si ritiene che questo avvenne per due motivi. Un forte terremoto avrebbe seriamente danneggiato le città molti mesi prima della prima fase eruttiva, sono stati infatti trovati pile di materiali di recupero, evidenze di lavori di riparazioni provvisorie e tracce di nuovi impianti edilizi. Inoltre il primo strato di pomici che si ritrova sul substrato archeologico, spesso solo tre centimentri, si riferisce a una piccola esplosione avvenuta almeno 2 o tre mesi prima di quella catastrofica. Il terremoto e questo primo evento eruttivo avranno convinto gli abitanti ad abbandonare l�isola. Quando avvenne l�eruzione parossistica grandi blocchi vennero scagliati sulle case che furono sepolte prima da un metro di pomici grossolane e poi da molti metri di ceneri.

    In conseguenza dell�eruzione e della formazione di una caldera vasta più di ottanta chilometri quadri e con subsidenza fino a 800 metri, l�isola fu frammentata in tre pezzi: Thera, Therasia e Aspronisi (a sinistra) che rimasero disabitati per alcune secoli fino a quando, secondo Erodoto, i Fenici non la ricolonizzarono, nel 1330 a.C, chiamandola Kalliste. Il vulcano rimase apparentemente quiescente durante tutta l�epoca in cui l�isola fu prima, dal 1115 a.C., colonia della Lacedonia e poi base navale dei Tolomei durante il periodo ellenistico (300-145 a.C). Nel 197 a.C si ebbe una prima eruzione seguita da altre due nel 19 d.C, nel 46, altre nel II e III secolo e una certa nel 726. Durante queste eruzioni si formarono le isolette Kamenis (Thiressia e Palea Kameni). Seguirono altre eruzioni tra cui quella del 1570 o1573 che seppellì un porto nella parte più meridionale dell�isola e quella del 1650. L�eruzione del 1707-78 portò alla formazione di Nea Kameni molto attiva con eruzioni nel 1866-70, 1925-26, 1928, 1939-41 e 1950. Nel contempo sono ricordati molti terremoti tra cui quello rovinoso del 1956.

    Attualmente Santorini è un importante centro turistico.

    Per la mitologia greco-romana i vulcani erano dimora di divinità, in particolare vi erano sepolti i Giganti che avevano tentato di assalire l’Olimpo (Strabone). Il mito racconta che Atlante e suo fratello Menezio, che scamparono al disastro di Atlantide, per vendetta contro Zeus che aveva permesso la distruzione dell�isola, si allearono a Crono (il “tempo”, ovvio nemico degli dei immortali) ed agli altri Titani nella loro guerra contro gli dei dell�Olimpo. La battaglia decisiva, durante la quale gli dei sconfiggono i Titani, si svolge sopra i Campi Flegrei. Zeus abbatte con una folgore Menezio e lo rinchiude nel Tartaro (sotto i Flegrei), mentre condanna Atlante a portare per l�eternità il cielo sulle sue spalle. Terminata la battaglia contro i Giganti non termina però la sequenza di eventi naturali cataclismatici che punteggia la storia della civiltà ed ecco nascere, per spiegare questi nuovi eventi, i 24 Giganti generati dalla madre Terra (a Flegra, in Tracia, nella versione greca del mito, zona caratterizzata anch�essa dalla presenza di vaste coltri ignimbritiche), che danno nuovamente l�assalto al cielo degli dei, per vendicarsi di Zeus che ha in parte ucciso ed in parte confinato nel Tartaro i Titani loro fratelli. La battaglia decisiva si combatte a Bato, presso Trapezunte in Arcadia secondo una versione del mito oppure ancora una volta sopra i Campi Flegrei, presso Cuma (secondo Omero), le cui mura “ciclopiche” si dice che siano state progettate da Dedalo fuggito da Creta. Ognuno dei Giganti viene imprigionato ancora vivo sotto un masso scagliatogli contro da Zeus o da qualche altro dio dell�Olimpo. Nella furia della lotta, Poseidone stacca con il suo tridente un pezzo dell�isola di Kos (Nisiros) e lo scaglia contro il gigante Polibòte, che vi rimane imprigionato sotto. Ma basta una rapida scorsa ai nomi degli altri Giganti per accorgersi che anche loro vengono sepolti sotto altrettanti vulcani od isole vulcaniche. Tifone o Encelado nell’Etna, Tifeo a Ischia, altri sotto i Campi Flegrei, Polibote, appunto, sotto Nisiros.

    Nella scelta dei luoghi chiave del mito dei Giganti e dei Titani, quindi, sono evidenti i riferimenti a luoghi devastati da cataclismi vulcanici, in particolare è possibile che vi si intraveda una reminiscenza dell�attività vulcanica preistorica dei Campi Flegrei, quiescenti durante l�epoca classica. Ma anche il modo di combattere dei Giganti, che lanciano massi e tizzoni ardenti dalle cime delle loro montagne, ricorda l�attività vulcanica; per dare la scalata all�Olimpo essi si arrampicano l�uno sulle spalle dell�altro, similitudine che verrà usata sino agli albori del XVII secolo per descrivere il modo di espandersi verso l�alto di un pino vulcanico.

    In tempi più recenti, presso l’antica Roma esiste un episodio eroico che potrebbe essere interpretato come la testimonianza indiretta di un�eruzione storica nell’area dei Colli Albani. Tuttavia esso è da considerare con molta cautela visto che si potrebbe trattare di un mito eziologico inventato per spiegare il nome lacus Curtius riferito a uno stagno presente nell’area del foro Romano. In occasione del terremoto del 362 a.C. l’oracolo predice che solo il sacrificio del più grande tesoro di Roma avrebbe chiuso la voragine infuocata apertasi nella zona del lacus Curtius. Marco Curzio ritenendo che la giovinezza e il valore militare fossero il bene più prezioso ci si precipitò in arme scongiurando l’eruzione.

    L�età classica: i filosofi greci e i naturalisti romani

    Un superamento all’approccio mitico e sovrannaturale si deve ai filosofi greci che a partire da Talete di Mileto, nel VI secolo a.C., iniziarono ad analizzare i fenomeni geologici da un punto di vista naturalistico, basandosi oltre che su considerazioni speculative anche sulle relazioni di causa-effetto. Per esempio, Democrito avanzò l�ipotesi che tutta la materia fosse costituita da atomi e su questa base offrì una spiegazione razionale di terremoti, eruzioni vulcaniche e altri fenomeni geologici. Di questi filosofi è importante notare il fatto che cercarono anche di recuperare i motivi razionali presenti nel mito e tentarono di identificare anche le cause remote del formarsi del mito stesso.

    L’Etna era già fonte di ispirazione poetica già intorno al 470 a.C., quando Pindaro dedicò la prima Ode Pitica alla fondazione ufficiale della nuova città di Etna sotto Diomede figlio di Ierone. Egualmente antica è la citazione di Eschilo nel Prometheus Vinctus. Platone (427-347 a.C.) si recò in Sicilia nel 387 dove visitò l’Etna ed elaborò per primo il concetto di fuoco centrale. Nel Timeo, che si occupa di Scienze Naturali, afferma inoltre che la terra si è fusa per effetto del calore e poi raffreddandosi si è trasformata in roccia. Aristotele (384-322 a.C) diede il nome ‘cratere’ alle bocche vulcaniche e nei Meteorologica tratta i processi atmosferici e geologici postulando che dal riscaldamento della Terra ad opera del Sole si generi la necessità di una esalazione secca, o soffio, principio dei venti, dei terremoti e delle eruzioni vulcaniche. A queste ultime non presta particolare attenzione ma ne riporta una, avvenuta nell’Isola di Hiera (Vulcano), descrivendola come un sollevamento o rigonfiamento del suolo seguita da un soffio che depositò ceneri sulla città di Lipari e altre sulla costa Italiana (Meteorologica, 367, 5-10). L’idea di una terra cava si radicò nei suoi successori, come Teofrasto e gli Epicurei, implicando che i terremoti e i vulcani fossero in connessione a vuoti o condotti sotterranei in cui il soffio potesse innescare vibrazioni e combustioni. Tali credenze, e in particolare la presenza dei “vuoti o canali sotterranei” sono incredibilmente ancora presenti in tracce anche nel substrato popolare italiano attuale. Dopo Aristotele la figura di maggior spicco nel campo delle Scienze Naturali fu Posidonio (c.135-50 a.C.), anche se la sua opera giunta a noi molto frammentaria non ci consente di precisare quale fosse il ruolo dei vulcani nel suo “sistema” naturale. Notizie indirette ci provengono dalle riprese di successivi autori romani. Gli storici e i geografi greci, da Tucidide (circa 460-400 a.C.) a Strabone (64- a.C-21 d.C.), hanno lasciato descrizioni oggettive e prodotto cataloghi delle eruzioni vulcaniche in genere evitando di addentrarsi nella spiegazione dell’origine dei fenomeni magmatici, tranne quando invocano le teorie aristoteliche. Strabone, nella Geografia, descrive dettagliatamente i prodotti, le fasi eruttive e le differenti morfologie dell’Etna, dei vulcani campani e eoliani e riporta, inoltre, eruzioni sottomarine alle Eolie e nel Canale di Sicilia (libro VI).

    Dal punto di vista letterario i Romani raccolgono l’eredità greca, per esempio nell’ Aetna, poema didattico in 646 esametri di autore ignoto, scritto probabilmente tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C. e che forse faceva parte di un’opera di mole molto maggiore, si riprendono le argomentazione aristoteliche della “Meteorologia” e si attinge come fonte scientifica a Posidonio. Aristotele e Posidonio influenzarono grandemente due dei maggiori naturalisti romani, Lucrezio (98-55 a.C.) e Seneca (c.5 a.C.- 66 d.C.). Lucrezio osservò che le fiamme dell’Etna vengono emesse da fratture rettilinee. E’il primo riferimento ad eruzioni lineari e non centrali. Seneca nelle Naturales Questiones mise in relazione i vulcani attivi con focolai magmatici profondi; contemporaneamente si fa anche più chiaro che i vulcani emettono masse ignee più che soffi infuocati. All’epoca di questi due autori i vulcani campani erano ancora quiescenti e quindi l’attenzione si accentrò sulle isole Eolie e soprattutto sull’Etna, che fu costantemente visitato dato che sulla sua sommità si trovano resti di edifici romani e che anche l’imperatore Adriano volle salirvi. Le isole Eolie, ma soprattutto Hiera (Vulcano) e Strongyle (Stromboli), sono citate da Plinio (Naturalis Historia, libro III), Polibio (Storia Universale, I) e Cicerone (In Verrem, libro III); l’Etna è citato da Lucrezio (De Rerum Natura, VI), Virgilio (Eneide, III), Aulo Gellio (Noctes Atticae, XVII).

    Nonostante le influenze greche esiste anche un aspetto originale nella letteratura romana. Animati da uno spirito pragmatista, i Romani si interessarono dei vulcani anche da un punto di vista più “tecnico” incominciando a descrivere dettagliatamente le caratteristiche identificative, i possibili utilizzi e la nomenclatura dei prodotti vulcanici come nel De Architectura di Vitruvio (seconda meta del I secolo a.C.). Plinio (23 a.C.-79 d.C.) compila una lista di dieci vulcani attivi allora conosciuti e anche Ovidio (43 a.C.- 17 d.C.) ne parla. Gli autori Romani hanno una visione più realistica, rispetto a quella aristotelica, della complessa composizione dei materiali vulcanici e indagano sulla possibile origine dei fuochi sotterranei indicando lo zolfo, il bitume e l’allume come possibili comburenti oltre all’aria e all’acqua. I Romani utilizzarono ampiamente i prodotti vulcanici nell’edilizia e per ottenere cementi idraulici, i loro ingegneri erano in grado di riconoscere questi materiali ovunque si trovassero. Inoltre essi avevano anche la cognizione precisa della natura vulcanica oltre che delle zone attive anche di quelle quiescenti. Quindi, rispetto ai predecessori Greci, i Romani ebbero una visione pragmatico-geologica e non filosofica del fenomeno vulcanico. Sebbene sia stato Strabone (Geografia, 5-6) a fornire un catalogo aggiornato dei vulcani “attivi” italiani verso la fine del I secolo a.C., il fatto che un’attività vulcanica non remota avesse interessato l’Isola d’Ischia era palese ai Romani (Livio, Ab Urbe Condita, VIII) così come per i Campi Flegrei e il Vesuvio (Vitruvio, DArch., IX; Seneca, NQue., VI; Silio Italiaco post Varrone?; Beroso, Babiloniaca, I, apocrifo?). L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. colpì moltissimo i Romani ed ebbe una vasta eco letteraria, oltre agli scritti di Plinio il Giovane (Epistulae, VI, 16 e 20), ne parlano Marziale (Epigrammaton Libri, IV, 44), Tacito (Annales, XIV, 17 e XV, 22; Historiae, I, 2); Svetonio (Divus Titus, 8, 3) e Cassio Dione (Storia di Roma, LXVI, 21-4).

    Tuttavia, dopo il I secolo d.C. gli studiosi si limitarono a riassumere e a diffondere le scoperte dei loro predecessori, i quali, tramite i commentatori greco-bizantini, vennero conosciuti dagli scienziati arabi sui quali esercitarono il loro influsso. Solo in questo modo si sono conservate, per esempio, presso gli arabi di Spagna, cronache riguardanti eruzioni nelle isole Canarie.

    http://www.unich.it/geo8/storia/storia2_0.html

    Commento di mirabilissimo100 — giugno 26, 2010 @ 8:17 am

  3. Tsunami in Italia per Sicilia e Calabria: il vulcano Marsili e i maremoti più forti degli ultimi 300 anni

    15 marzo 2011 – 14:18

    |ROMA / Le immagini impressionanti del Giappone scorrono sugli schermi di tutte le tv del mondo. L’interrogativo sorge spontaneo: anche da noi, in Italia, sono possibili tsunami? La risposta è sì. Ce ne sono stati almeno una trentina negli ultimi 1000 anni. Tsunami innescati dalla della violenza di quello che ha colpito il Giappone sono per fortuna poco probabili, o perlomeno visto che resistono gli edifici storici, sicuramente non ce ne sono mai stati di così forti negli ultimi 2.000 anni.
    Uno degli tsunami più forti che si siano mai registrati in Italia è quello del 1783 che colpì la Calabria tirrenica, innescato da un sisma dell’undicesimo grado della scala mercalli. Le coste calabresi da Messina a Torre del Faro e da Cenidio a Scilla furono devastate. Il mare travolse la costa per quasi 2 chilometri. L’onda più alta fu registrata a Marina Grande (Scilla). In molte altre località (Peloro, Torre del Faro, Punta del Pezzo) il fronte d’acqua raggiunse 6 metri d’altezza.
    In epoca più recente, si ricorda lo tsunami causato da una frana dello Stromboli nel 2002. Fu un evento limitato ma che indica il potenziale pericolo delle regioni meridionali italiane. A preoccupare quindi non solo possibili scosse o eruzioni molto violente. Lo tsunami può essere causato anche da crolli e frane dovuti all’attività vulcanica. Come sappiamo, l’arco eolico è estremamente attivo.
    Negli ultimi anni è stata accertata la presenza di un vulcano sottomarino molto pericoloso. Si tratta del vulcano Marsili. Si trova circa 140 km a nord della Sicilia e circa 150 km a ovest della Calabria. E’ il più grande vulcano d’Europa, essendo esteso per 70 km in lunghezza e 30 km in larghezza. Il monte si eleva per circa 3000 metri dal fondo marino, raggiungendo con la sommità la quota di circa 450 metri al di sotto della superficie del mar Tirreno. Sappiamo che il vulcano è attivo. Un’eruzione potrebbe provocare una tremenda onda di tsunami che potrebbe spazzare via le coste di Campania, Sicilia e Calabria. L’Ingv sta intraprendendo esami e studi dettagliati per conoscerne meglio l’effettiva pericolosità e studiare eventuali segnali premonitori.
    Anche l’Adriatico è esposto potenzialmente ai pericoli di uno tsunami. Il primo avvenne nel 1511 nel Nord Adriatico e causò un innalzamento del mare a Trieste. Il secondo, ben più grave, colpì l’area tra il Gargano e il Molise nel 1627 (onde alte fino a cinque metri si abbatterono tra Fortore e San Nicandro, nei pressi del lago di Lesina, e colpirono anche Termoli e Manfredonia). Nel 1672 un maremoto interessò l’Adriatico centrale, causando inondazioni a Rimini. Sempre fra Rimini e Cervia si verificò un innalzamento del mare, in seguito a un terremoto, nel 1875.

    GUARDA LE FOTO – il vulcano Marsili

    http://www.cronacalive.it/pericolo-tsunami-in-italia-per-sicilia-e-calabria-il-vulcano-marsili-e-i-maremoti-piu-forti-degli-ultimi-300-anni.html

    Commento di mirabilissimo100 — marzo 19, 2011 @ 1:51 PM

  4. Roma come Giappone? Profezia terremoto 11 maggio 2011
    Scritto da filomena il marzo 15th, 2011

    Roma sotto le macerie nel maggio prossimo secondo Bendandi l’11 maggio 2011 la capitale sarà colpita da un terremoto devastante.

    Dopo la devastante notizia del sisma in Giappone, che ormai corre attraverso tutti i mezzi di comunicazione di massa, dai giornali, alla radio passando inevitabilmente per il web, ecco che spunta qualcuno che che sfrutta nel peggiore dei modi quello che sta accadendo in queste ultime ore per creare psicosi e diffonderla tramite internet.

    Secondo quanto riportato da diversi siti, Raffaele Bendandi, una delle figure più controverse nel mondo scientifico, ha previsto che a Roma l’11 maggio 2011 ci sarà un tremendo terremoto, in grado di radere al suolo l’intera città. La notizia sta rimbalzando su internet in maniera mostruosa. In quelle carte sono contenuti numeri e considerazioni che fanno gridare alla catastrofe.

    E se è vero che Raffaele Bendandi non è propriamente uno scienziato, in quanto non si è mai laureato, ma ha sempre studiato da autodidatta, tuttavia non è nemmeno quello che si definirebbe come un uomo qualsiasi. Era il 13 gennaio 1915 alle ore 7.48 ad Avezzano la terra si apre, un terremoto sconvolgente: undicesimo grado della scala Mercalli 30.000 vittime.

    Solo ad Avezzano 8.000 vittime abitanti su 11.000 abitanti. Poi il terremoto della Marsica. E ancora, il 6 maggio 1976 alle ore 21.06 un terremoto di magnitudo 6,5 scuote il Friuli. 1000 morti e 45.000 senza tetto. Qualcuno li aveva previsti, Raffaele Bendandi aveva dato riferimenti sulla zona e sul periodo interessato, questo quanto emerge dalle sue carte.

    Secondo il Corriere della Sera è “l’uomo che prevede i terremoti” così lo chiamò il giorno dopo il terremoto di Senigallia del 2 gennaio 1924.

    Le sue teorie prendono spunto dal movimento degli astri. L’origine dei terremoti secondo la sua teoria è prettamente cosmica. Secondo dati da lui raccolti e controllati, il sisma avviene quando nel giro mensile di una rivoluzione lunare l’azione del nostro satellite va a sommarsi a quella degli altri pianeti. Studiando questi movimenti, Bendandi scrisse nel 1923, davanti ad un notaio di Faenza, che il 2 gennaio 1924 si sarebbe verificato un terremoto nelle Marche, che davvero accadde, anche se due giorni più tardi. Ora l’11 maggio 2011, stando agli appunti di Bendandi, ricostruiti dopo sua morte sarebbe il turno di Roma.

    Paola Lagorio, però, presidente dell’Associazione “La Bendandiana” , che è stata intervistata nei mesi scorsi dal programma di Raidue, Voyager, ha rivelato: «Bendandi aveva deciso di bruciare i suoi manoscritti, ma poi ha avuto un ripensamento. E proprio alcuni dei documenti con le sue previsioni per il 2011 erano stati prima gettati nel fuoco e poi salvati. Non si sa chi lo ha fatto, ma la persona si è pentita del suo gesto e quei documenti sono quindi giunti fino a noi. Nelle carte di Bendandi relative al 2011 sono contenuti numeri e considerazioni, sempre in forma numerica». E ha osservato quindi Lagorio: «Nei documenti relativi al 2011 non si trova invece nessun riferimento a luoghi o date precise, come quelle che sono state riportate su Internet. Le notizie su un presunto terremoto previsto per l’11 maggio 2011 a Roma sono quindi destituite di ogni fondamento». Va inoltre osservato, che le previsioni di Bendandi sono sempre state nell’arco di alcuni mesi, massimo un anno, e non per il lungo periodo. E’ inverosimile quindi pensare che abbia fatto delle predizioni addirittura ad alcuni decenni di distanza dalla sua morte, si tratta piuttosto dell’ennesima bufala mediatica.

    Giusy Cerminara

    http://www.ultimenotizieflash.com/2011/03/15/roma-come-giappone-profezia-terremoto-11-maggio-2011/

    Commento di mirabilissimo100 — marzo 19, 2011 @ 1:51 PM

  5. Fine del mondo: terremoto a Roma, profezie Maya e ipotesi varie
    La catastrofe del Giappone ma anche i disordini in Africa stanno portando a galla i timori verso quella che è stata definita la fine del mondo e che secondo la popolazione Maya arriverà il 20 dicembre 2012 ma che secondo altri si sta già mostrando in tutta la sua forza; ma non sono stati solo i Maya a predire la fine del mondo che secondo alcuni sarebbe prevista per maggio 2011, tra due mesi scarsi.

    Secondo profezie religiose basate sulla Bibbia il giorno del Giudizio universale dovrebbe essere il 21 maggio 2011 e secondo il sismologo faentino Raffaele Bendandi il giorno 11 maggio 2011 Roma dovrebbe essere scossa da un terremoto talmente potente da distruggere una delle sue istituzioni fondamentali: secondo chi segue queste idee, il terremoto di Roma sarebbe l’anticipo di ciò che accadrà il 21 maggio, giorno del Giudizio Universale.

    C’è poi la famosa teoria dei Maya secondo cui il 20 dicembre 2012 (20/12/2012 per gli amanti della numerologia) terminerà il “lungo Computo” del calendario e quindi dal giorno successivo, in pieno solstizio d’inverno, il Sole si troveràò allineato con il centro della Via Lattea dopo 26.000 anni causando lo scontro tra un pianeta misterioso e la Terra.

    E sempre per gli amanti delle profezie, sempre nel 2012 è previsto un aumento dell’attività solare, l’inversione dei due poli terrestri, l’eruzione del vulcano di Yellowstone e cambiamenti nel sistema solare che andranno a sconvolgere i già precari equilibri della Terra.

    In realtà la scienza sostiene che nonostante si stiano verificando, e si verificheranno ancora, cambiamenti importanti a livello climatico e non solo sulla Terra, non è possibile stabilire a priori se davvero ci sarà quella che la credenza popolare chiama “fine del mondo” anche perchè se si analizzano per bene i documenti ritrovati si puo’ dare un’interpretazione diversa del concetto di “fine” intendendo con questa parola il concetto di “rinnovamento” e “rinascita”.

    Insomma, se siete superstiziosi non fate piani per le vacanze estive del 2011 e se scampate questo pericolo non comprate i regali da mettere sotto l’albero nel 2012; se non lo siete o siete fatalisti, lasciatevi trasportare dalla corrente e state a vedere cosa succederà!

    http://www.dgmag.it/curiosita/fine-del-mondo-terremoto-a-roma-profezie-maya-e-ipotesi-varie-34506

    Commento di mirabilissimo100 — marzo 19, 2011 @ 1:51 PM


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