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aprile 25, 2019

SAN MARCO EVANGELISTA: LA SUA VITA

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S. Marco fu il cooperatore di S. Paolo e l’ausiliare di S. Pietro nella predicazione del Vangelo. Nel Nuovo Testamento ora è chiamato col nome ebraico di Giovanni, ora col nome latino di Marco, ora Giovanni Marco. I migliori interpreti della Scrittura ritengono che si tratti sempre della medesima persona, non essendo raro il caso di ebrei aventi due nomi, come l’apostolo dei gentili che si chiamava Saulo e Paolo.

Non sappiamo nulla della sua infanzia trascorsa forse a Cipro insieme con il cugino Barnaba (Col. 4,10), di stirpe levitica. Gli Atti degli Apostoli parlano per la prima volta di lui in occasione della miracolosa liberazione di Simon Pietro dal carcere. Rientrato in se stesso, l’apostolo “dopo aver riflettuto, si recò in casa di Maria, madre di Giovanni, soprannominato Marco, dove molti erano radunati e stavano pregando” (12,12). In quella casa alcuni hanno voluto ravvisare il Cenacolo. Molti hanno identificato Marco con quel ragazzo che, “avvolto il corpo nudo in un fine indumento di lino”, seguiva Gesù nella notte del tradimento. Per sfuggire all’arresto, abbandonò l’indumento in mano agli sgherri appena lo afferrarono (Me. 14, 5ls). Non è improbabile che a Gerusalemme, dove abitava, abbia assistito a qualche discorso o a qualche miracolo operato da Gesù a conferma della sua dottrina. Ippolito romano afferma in Philosophumena (VII, 30, 1) che Marco sarebbe stato “dalle dita monche”. Siccome S. Pietro nella prima lettera che scrisse da Babilonia, cioè Roma, ai cristiani dell’Asia settentrionale chiama “Marco, figlio mio” (5,13), si ritiene che lo abbia battezzato personalmente, dopo la Pentecoste.

L’evangelista debuttò nella vita apostolica sotto gli auspici di suo cugino Barnaba e di Paolo, i quali lo condussero con sé ad Antiochia dopo che ebbero consegnato agli anziani di Gerusalemme la colletta che avevano portato (Atti, XII, 25). Data la sua giovane età, non fu adibito subito nel ministero della predicazione. Egli fu piuttosto responsabile dei servizi logistici, esterni, del loro apostolato. Nel loro primo viaggio missionario lo presero con sé. Attesta S. Luca: “Quando poi furono a Salamina (Cipro) cominciarono a diffondere la parola di Dio nelle sinagoghe dei Giudei e avevano per cooperatore Giovanni” (Atti, 13, 5). Il coraggio di costui però venne ben presto meno di fronte alle persecuzioni degli ebrei e alle estenuanti fatiche del viaggio a piedi. Infatti, “partiti per mare da Pafo, Paolo e compagni giunsero a Perge in Panfilia, ma Giovanni si distaccò da loro e se ne tornò a Gerusalemme” (Ivi, 13,13). Nel 52, al momento del secondo viaggio missionario, Marco era di nuovo ad Antiochia. Barnaba avrebbe desiderato averlo in sua compagnia, “ma Paolo giudicò più conveniente di non riprendere con sé colui che in Panfilia si era separato da loro rifiutandosi di proseguire con essi nell’impresa. Ne derivò tale dissenso, che si separarono l’uno dall’altro: Barnaba prese con sé Marco e s’imbarcò alla volta di Cipro, Paolo, invece, si scelse Sila… e percorse la Siria e la Cilicia consolidando quelle Chiese” (Ivi, 15, 37-41).

A partire da questo momento gli Atti degli Apostoli non ci parlano più di Marco. E’ certo tuttavia che Paolo dimenticò presto i dissensi di Antiochia. Verso il 61 o 62, durante la sua prima prigionia romana, troviamo difatti Marco di nuovo in sua compagnia. Ai Colossesi scrisse in quel tempo l’apostolo: “Vi saluta Aristarco, il mio compagno di prigione, e Marco, il cugino di Barnaba (intorno al quale avete ricevuto ordini; qualora venisse da voi, ricevetelo), e Gesù detto il Giusto, i quali sono della circoncisione; fra questi sono i soli miei collaboratori per il regno di Dio, in quanto mi sono stati di consolazione” (4, 10s). Un anno o due più tardi, Marco attendeva all’evangelizzazione dei romani con S. Pietro. L’apostolo, nella lettera scritta agli abitanti dell’Asia del nord, ai suoi saluti unì anche quelli del “suo figlio, Marco” (1 Pt. 5,13). Questa è una dimostrazione evidente che l’attività di lui in Oriente era stata molteplice e vasta dopo il suo ritorno da Cipro verso il 50. Dovette ritornarvi prima della persecuzione scatenata da Nerone nel 64, dopo l’incendio di Roma. Nel 66, durante la sua seconda prigionia romana, Paolo scrisse difatti a Timoteo, residente ad Efeso: “Affrettati a venire da me al più presto… Solo Luca è con me. Prendi Marco e conducilo con te, perché mi è utile per il ministero” (2 Tim. 4, 9-11).

Antiche tradizioni abbastanza attendibili asseriscono che, negli anni successivi al martirio dei Principi degli Apostoli, S. Marco abbia evangelizzato l’Egitto, vi abbia fondato la chiesa di Alessandria di cui sarebbe stato il primo vescovo. Non ci è noto il tempo e il genere della sua morte. Mercanti veneti nell’828 trafugarono le reliquie dell’evangelista, in onore del quale, l’anno successivo, a Venezia, fu costruita una basilica in seguito ampliata e rivestita di mosaici. Il principe saraceno di Alessandria, per poter costruire un grande palazzo, aveva deciso di abbattere un gruppo di edifici tra i quali si trovava quello che conservava il corpo del santo. Per evitarne la profanazione, il monaco Staurazio e il prete Teodoro, s’accordarono con i mercanti Buono da Malamocchio e Rufino di Torcello i quali deposero i resti di S. Marco in una cesta e li ricoprirono di carni suine per eludere il controllo dei doganieri maomettani.

Tutti gli studiosi ammettono concordi che il secondo vangelo, il più breve di tutti, fu scritto da S. Marco, il quale, come fu l’ausiliare di S, Pietro nella predicazione in Asia e a Roma, così ne fu pure l’interprete e il portavoce autorizzato. Nel suo Vangelo, perciò, non ci ha trasmesso altro che la catechesi del primo papa, tale e quale egli la predicava ai primi cristiani. Difatti Papia, vescovo di Gerapoli all’inizio del II secolo, dice espressamente, riportando le affermazioni di un certo presbitero Giovanni: “Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse esattamente, ma senza ordine quando si ricordò delle cose o pronunziate o operate dal Signore. Egli infatti né udì il Signore, né lo seguì, ma più tardi, come ho detto, seguì Pietro, il Quale faceva le istruzioni secondo le necessità, senza voler fare un coordinamento dei detti del Signore; cosicché Marco non ha colpa se scrisse alcune cose come ricordava. Ad un solo punto fece attenzione, a non tralasciare nulla di quanto aveva udito e a non mentire” (in Eusebio, Hist. Eccl., III, 39, 15).

Marco scrisse il suo Vangelo a Roma, tra il 55 e il 62, in seguito alle istanze di molti cristiani, convertiti dal paganesimo, per dimostrare che Gesù è vero Dio con una vivace descrizione dei miracoli da lui operati.

Sac. Guido Pettinati SSP,

I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 318-320.

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