NAPOLITANO DAI GENITORI.
IL PAPÀ: “NESSUNO CI VUOLE”
ROMA – A quella povera madre, oggi, parla per tutti gli italiani il capo dello Stato Giorgio Napolitano. La raggiunge in obitorio, il presidente, dove ci sono i 4 bimbi rom uccisi dal fuoco a Tor Fiscale, come una persona comune. Poi si rivolge al Paese e alle istituzioni. Via gli accampamenti insicuri. Le istituzioni trovino la «soluzione a un problema così grave in termini umani e civili». Intanto la Procura di Roma indaga: c’è una ipotesi di reato per «abbandonò di minori a carico di ignoti. Rischiano i genitori e la sorella di 18 anni, cui loro avevano affidato i piccoli. »Questa tragedia pesa dolorosamente su ciascuno di noi«, dice il capo dello Stato. Giusto leggervi un appello implicito alla futura collaborazione della società civile? Poi chiede massimo impegno a tutte le istituzioni: questa tragedia »ci rende ancor più convinti della necessità di non lasciare esposte a ogni rischio comunità che da accampamenti di fortuna, degradati e insicuri, debbono essere tempestivamente ricollocate in alloggi stabili e dignitosi«. »Le autorità locali e nazionali – aggiunge – non possono non sentirsi impegnate ancor più fortemente a dare soluzione a un problema così grave in termini umani e civili«.
Dal canto suo, Gianni Alemanno, nell’angolo, non ci va. Chiede poteri e altre risorse al Governo: 30 milioni. Aspetta una risposta domani. Chiede tendopoli alla Protezione civile e caserme dismesse alla Difesa. Annuncia sgomberi immediati, e »obbligatori«, dei siti abusivi. Addirittura immagina di imbrigliare i nomadi nelle regole: perchè il »pietismo«, spiega, la pseudo-comprensione dello spirito di libertà, si è visto, purtroppo, »dove porta…«. Alla fine della giornata, però, lo slancio della reazione si arresta per qualche istante. Quando, intervenendo a ‘Porta Porta‘, il sindaco di Roma, viso pallidissimo e sguardo amaro, dice quello che ha dentro: »Ieri io ho visto… E quello che ho visto non lo scorderò mai più. Sarà per me un tormento quotidiano«. Dopo aver reagito, per una ventina di ore, con energia anche piccata alla tragedia, attaccando chi non ha permesso di completare il piano nomadi: la maledetta burocrazia, la sovrintendenza, i ricorsi dei Comuni. Dopo aver annunciato l’intenzione di liberarsi di »lacci e lacciuoli« – »Non ci saranno veti, non ci saranno presidenti di municipio, comitati civici che tengano«, dice chiedendo nuovi strumenti per l’emergenza – traspare in serata una punta di avvilimento già vista negli sguardi di diversi amministratori italiani. Ricorrono parole già udite: la sindrome di Nimby, la cultura del no, l’impotenza di fronte ai veti incrociati. Alemanno lo spiega di nuovo: »L’opposizione non può parlare, non fece nulla sui nomadi. Noi abbiamo chiuso 310 campi abusivi«. Erano »tollerati« dal centro-sinistra. »Ma poi il piano si è bloccato, per i tanti vincoli che ci sono«. »Abbiamo perso un anno e tre mesi per la Sovrintendenza, due mesi per quattro ricorsi al Tar, quando a 6 km da Tor Fiscale avevamo un campo a portata di mano, La Barbuta, che si sarebbe potuto realizzare velocemente. Quei bambini oggi potevano essere lì, al sicuro. Invece, ci hanno fermato«. Perciò, in una lettera congiunta col prefetto di Roma, al ministro Maroni, al presidente del Consiglio e tutto il Governo, il sindaco ha chiesto poteri speciali per il prefetto – che però già ne ha essendo già commissario su questa emergenza – per ottenere di derogare la conferenza dei servizi. Si perde troppo tempo, i campi regolari devono essere fatti, invece, subito. E va anche oltre, sfidando quella »libertà« che in tutta Europa si stenta a dominare con le regole: se le famiglie non accetteranno di vivere in luoghi sicuri, i minori dovranno andare in affidamento. »Perchè non si può consentire che vivano ancora in quelle baracche della morte«.
IL DOLORE DEL PADRE «Qualcuno dice che non abbiamo accettato accoglienza, non è vero. Il Comune e nessun altro ce lo ha mai proposto. Inoltre siamo stati sgomberati più volte. Ora vogliamo solo riportare le salme in Romania: spero che succeda presto, nei prossimi giorni». Sono le parole di Mirca Erdea, il padre di tre dei quattro bimbi morti nell’incendio di una baracca di un insediamento abusivo a Roma ieri sera. I genitori dei bimbi non hanno specificato dove si trovano in queste ore.
http://www.leggo.it/articolo.php?id=105284
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LEGGO.IT
ROMA. BARACCA A FUOCO,
MORTI 4 BIMBI ROM -FOTO
Lunedì 07 Febbraio 2011 – 03:13
Ultimo aggiornamento: 03:48
ROMA – Erano soli e si riparavano dal freddo rannicchiati, nel sonno, mentre dal tizzone di un braciere è partita una prima scintilla che ha provocato le fiamme divampate nella baracca dove dormivano. In poco tempo i loro corpicini erano carbonizzati. Si è consumata al buio di una boscaglia, in una casupola di plastica e legno, la tragedia in un campo nomadi abusivo a Roma dove 4 bambini sono morti in un incendio. Raul, di 4 anni, Fernando di 5, Patrizia di 8 e Sebastian di 11, erano stati lasciati soli dalla madre, che era andata in un fast food a comperare del cibo mentre la zia era fuori per recuperare dell’acqua. Nel frattempo i 20 abitanti del campo, che popolavano in tutto 5 baracche, si sono ritrovati di fronte alla casupola avvolta dalle fiamme.
Ma quando ormai l’incendio era stato domato dai pompieri rimaneva solo cenere, qualche vestito e una bicicletta bruciacchiata. A provocare le fiamme è stato un tizzone di una stufetta, probabilmente un braciere, che forse è finito in terra e in poco tempo ha fatto divampare l’incendio che ha bruciato plastica, legno e tutti gli oggetti che erano nella baracca. C’era anche un cucinino con un fornelletto e una bombola di gas, che però non è esplosa. Ma le fiamme hanno carbonizzato tutto in poco tempo. Da allora, per diverse ore, si sentivano nella notte solo le urla strazianti di Elena Moldovan, la madre dei quattro piccoli stretta nell’abbraccio di Erdei Mircea, padre di tre dei bimbi morti. Calim Vasile, l’altro padre, quello di Raul, è in Romania. «Ora posso anche morire, non ho più parole», dice Erdei mentre Elena, la madre dei bambini urla «non voglio andare via, resto qui con i miei figli».
Quei corpicini erano ancora a terra nella baracca tra la cenere rannicchiati mentre la polizia scientifica era impegnata per i rilievi. Gli abitanti del campo si stringevano intorno alla famiglia infreddoliti e riparandosi con alcune coperte. Il campo, che sorge su un’area di proprietà della società di trasporti Cotral, era stato ripopolato un anno fa, ma già nel 2005 era stato sgomberato una prima volta a causa di un episodio di pedofilia. In quel luogo, una boscaglia ai margini di via Appia Nuova dove sorgevano fino a qualche giorno fa alcuni insediamenti abusivi, gli abitanti erano arrivati dopo la bonifica di un campo nella zona della Caffarella.
Sul posto è giunto anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che ha incontrato i genitori confortandoli e cercando di rassicurarli. «Aiutateci – hanno detto i genitori dei bambini rivolgendosi al sindaco – speriamo di avere assistenza. Vorremmo organizzare i funerali in Romania e quindi portare le salme». Alemanno, che ha offerto il supporto ai genitori delle vittime e agli orami ex abitanti del campo, offrirà ai 20 nomadi dell’insediamento l’accoglienza in una struttura. «Ho visto il fuoco all’improvviso – ha poi spiegato Silvia, una rom del campo ricordando con terrore quei momenti – ci siamo spaventati tutti. Ho paura di vivere nella mia baracca come tutti. Chiunque potrebbe entrare e persino ucciderci». Oggi, l’intero campo e gli altri insediamenti vicini saranno smantellati e tutti quei nomadi lasceranno per sempre quel posto.
ALEMANNO: POTERI SPECIALI Vuole urlare Gianni Alemanno, e a un certo punto lo dice esplicitamente. Mette quel verbo in agenda per domani: «Chiamerò il governo e chiederò urlando poteri speciali per il prefetto, perché si possa realizzare il nostro piano nomadi». L’ ‘urlo’ evocato dal sindaco stride con i lamenti, che non smettono mai, delle donne, e col pianto, inconsolabile, della madre che stasera ha perso quattro figli in una baracca. Il sindaco attacca: la maledetta burocrazia dei cavilli, i ricorsi al Tar dei Comuni, la Sovrintendenza, tutti coloro che, insomma – spiega – in questi anni di amministrazione, gli hanno impedito di realizzare i «campi regolari, sicuri, autorizzati».
C’erano, ce ne sono tre a portata di mano, e potevano essere già pronti. «Via per sempre da Roma i maledetti campi abusivi – esordisce – Questa è una tragedia terribile per la nostra città. La tragedia dei campi abusivi: noi avevamo lanciato l’allarme, perchè sono pericolosissimi », aggiunge ripetendo la parola chiave che il primo cittadino ha per spiegare ai romani le cause dell’accaduto. Le critiche della opposizione, però, lo raggiungono proprio a pochi passi dal rogo: dove la presidente del Nono Municipio, Susy Fantino, incalza il primo cittadino, accusandolo di non aver dato ascolto alle segnalazioni provenute dal quartiere. Lui non ci sta, rifiuta di polemizzare: «Non si strumentalizzano i morti», dice.
«Queste burocrazie maledette che hanno bloccato il nostro piano nomadi hanno prodotto questo effetto – si sfoga -. Noi avevamo individuato il campo della Barbuta, avremmo potuto ampliarlo. E invece siamo stati bloccati». Prima un ricorso al Tar del Comune di Ciampino, spiega, poi «la sovrintendenza ci ha bloccati perchè ha trovato non so che tomba…». «I poteri conferiti al prefetto in materia – aggiunge – non sono sufficienti. Servono poteri speciali. Dobbiamo costruire campi autorizzati, ben attrezzati, e in grado di garantire condizioni di sicurezza per queste persone. A Roma ci sono già tre aree a disposizione». «Non è ammissibile – continua – che queste persone vivano in delle baracche di plastica che con un cerino possono trasformarsi in un forno crematorio, dove si muore in modo così assurdo e vergognoso». L’attacco ai cavilli burocratici non convince, però, la presidente del quartiere: «Non credo si possa dire che il problema sono i ‘cavillì. Da due anni a questa parte evidenziamo il livello di degrado di queste baracche. L’ultima segnalazione è stata mandata 15-20 giorni fa».
Una circostanza che il sindaco sminuisce: «Non so se ci sia stata una segnalazione. Il punto però non è questo. Il problema è che, se non abbiamo campi regolari, non c’è fisicamente il luogo in cui portare queste persone». Per la Fantino, comunque, resta l’incongruenza delle politiche del Campidoglio: «Nell’elenco del piano dei campi da spostare hanno inserito l’unico regolare della zona. Questi microinsediamenti, invece, nessuno li ha considerati».
TANTE LE PICCOLE VITTIME DEL FUOCO Le quattro piccole vittime di questa sera a Roma dell’incendio di un campo rom allungano lunga la scia delle morti di bambini, spesso rom, provocate dal fuoco: a volte a causa di fatalità o tragici giochi, ma con allarmante frequenza disgrazie legate alle difficili e precarie condizioni di vita nei campi nomadi. Il più grave, che ricorda proprio quello avvenuto oggi a Roma, risale al 21 gennaio 1995 quando quattro bambini nomadi tra i sette mesi ed i quattro anni e mezzo morirono carbonizzati a Milano in un campo abusivo. I bambini, slavi, dormivano con la mamma nella loro roulotte quando un fornello della cucina, lasciato acceso nel tentativo di riscaldare l’ambiente, diede fuoco ai giacigli e fece esplodere la bombola del gas.
Il 22 luglio 1996 a Pignola (Potenza) due fratelli, di tre anni e mezzo il primo e di due anni la seconda, morirono nell’ incendio di un prefabbricato nel quale vivevano con i genitori. Il 19 ottobre 2000, nel campo nomadi «Il poderaccio» di Firenze, Silvana Haliti, 5 anni e mezzo, kosovara, morì nel sonno nella baracca dove viveva con la famiglia.
Il 16 febbraio 2003 due sorelle, rispettivamente di otto e quattro anni, persero la vita, per intossicazione da fumo, a Montalbano Elicona (Messina) tra le fiamme della loro casa.
Il 19 agosto 2004 un bambino di 16 mesi e la madre morirono a Ripa Teatina (Chieti) in seguito all’ incendio divampato nella loro abitazione.
L’ 8 settembre 2004 un bambino di tre anni, egiziano, perse la vita a Galliera Veneta (Padova) dopo essere rimasto ustionato ed intossicato nell’ incendio divampato nella sua casa. Il 16 ottobre 2005 una bambina di 5 anni morì carbonizzata nella sua stanza a seguito di un incendio causato dall’ esplosione di un televisore.
Il giorno di Capodanno 2006 un bambino di sei anni morì a Cortina d’ Ampezzo (Belluno) nell’ incendio di un appartamento preso in affitto dai genitori per le festività. Altre quattro persone – due bambini e due adulti – rimasero ferite.
Il 7 dicembre 2006 a Tempio Pausania (Olbia-Tempio) persero la vita due sorelle, di quattro e tre anni, per asfissia seguita all’ incendio della loro casa.
Altre due giovani vittime rom, il 3 gennaio 2007: un incendio uccise una ragazza di 15 anni e il convivente di 16 in un campo nomadi ad Orta di Atella, in provincia di Caserta.
Il 13 gennaio 2007, in un appartamento nel centro di Roma abitato da immigrati bengalesi, per sfuggire ad un incendio accidentale si gettarano nel vuoto e morirono una donna e suo figlio di 10 anni.
Il 2 febbraio 2007, tre fratelli morirono nell’incendio della loro abitazione nel vicentino per un incendio innescato da un tragico gioco.
L’11 agosto 2007 quattro bambini muoiono in un incendio in una capanna nei pressi di un campo rom a Livorno.
La notte del 27 marzo scorso, in una baracca di fortuna costruita a Follonica (Grosseto), mori carbonizzata una bambina rom di 5 mesi.
ROMA – Erano soli e si riparavano dal freddo rannicchiati, nel sonno, mentre dal tizzone di un braciere è partita una prima scintilla che ha provocato le fiamme divampate nella baracca dove dormivano. In poco tempo i loro corpicini erano carbonizzati. Si è consumata al buio di una boscaglia, in una casupola di plastica e legno, la tragedia in un campo nomadi abusivo a Roma dove 4 bambini sono morti in un incendio. Raul, di 4 anni, Fernando di 5, Patrizia di 8 e Sebastian di 11, erano stati lasciati soli dalla madre, che era andata in un fast food a comperare del cibo mentre la zia era fuori per recuperare dell’acqua. Nel frattempo i 20 abitanti del campo, che popolavano in tutto 5 baracche, si sono ritrovati di fronte alla casupola avvolta dalle fiamme.
Ma quando ormai l’incendio era stato domato dai pompieri rimaneva solo cenere, qualche vestito e una bicicletta bruciacchiata. A provocare le fiamme è stato un tizzone di una stufetta, probabilmente un braciere, che forse è finito in terra e in poco tempo ha fatto divampare l’incendio che ha bruciato plastica, legno e tutti gli oggetti che erano nella baracca. C’era anche un cucinino con un fornelletto e una bombola di gas, che però non è esplosa. Ma le fiamme hanno carbonizzato tutto in poco tempo. Da allora, per diverse ore, si sentivano nella notte solo le urla strazianti di Elena Moldovan, la madre dei quattro piccoli stretta nell’abbraccio di Erdei Mircea, padre di tre dei bimbi morti. Calim Vasile, l’altro padre, quello di Raul, è in Romania. «Ora posso anche morire, non ho più parole», dice Erdei mentre Elena, la madre dei bambini urla «non voglio andare via, resto qui con i miei figli».
Quei corpicini erano ancora a terra nella baracca tra la cenere rannicchiati mentre la polizia scientifica era impegnata per i rilievi. Gli abitanti del campo si stringevano intorno alla famiglia infreddoliti e riparandosi con alcune coperte. Il campo, che sorge su un’area di proprietà della società di trasporti Cotral, era stato ripopolato un anno fa, ma già nel 2005 era stato sgomberato una prima volta a causa di un episodio di pedofilia. In quel luogo, una boscaglia ai margini di via Appia Nuova dove sorgevano fino a qualche giorno fa alcuni insediamenti abusivi, gli abitanti erano arrivati dopo la bonifica di un campo nella zona della Caffarella.
Sul posto è giunto anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che ha incontrato i genitori confortandoli e cercando di rassicurarli. «Aiutateci – hanno detto i genitori dei bambini rivolgendosi al sindaco – speriamo di avere assistenza. Vorremmo organizzare i funerali in Romania e quindi portare le salme». Alemanno, che ha offerto il supporto ai genitori delle vittime e agli orami ex abitanti del campo, offrirà ai 20 nomadi dell’insediamento l’accoglienza in una struttura. «Ho visto il fuoco all’improvviso – ha poi spiegato Silvia, una rom del campo ricordando con terrore quei momenti – ci siamo spaventati tutti. Ho paura di vivere nella mia baracca come tutti. Chiunque potrebbe entrare e persino ucciderci». Oggi, l’intero campo e gli altri insediamenti vicini saranno smantellati e tutti quei nomadi lasceranno per sempre quel posto.
ALEMANNO: POTERI SPECIALI Vuole urlare Gianni Alemanno, e a un certo punto lo dice esplicitamente. Mette quel verbo in agenda per domani: «Chiamerò il governo e chiederò urlando poteri speciali per il prefetto, perché si possa realizzare il nostro piano nomadi». L’ ‘urlo’ evocato dal sindaco stride con i lamenti, che non smettono mai, delle donne, e col pianto, inconsolabile, della madre che stasera ha perso quattro figli in una baracca. Il sindaco attacca: la maledetta burocrazia dei cavilli, i ricorsi al Tar dei Comuni, la Sovrintendenza, tutti coloro che, insomma – spiega – in questi anni di amministrazione, gli hanno impedito di realizzare i «campi regolari, sicuri, autorizzati».
C’erano, ce ne sono tre a portata di mano, e potevano essere già pronti. «Via per sempre da Roma i maledetti campi abusivi – esordisce – Questa è una tragedia terribile per la nostra città. La tragedia dei campi abusivi: noi avevamo lanciato l’allarme, perchè sono pericolosissimi », aggiunge ripetendo la parola chiave che il primo cittadino ha per spiegare ai romani le cause dell’accaduto. Le critiche della opposizione, però, lo raggiungono proprio a pochi passi dal rogo: dove la presidente del Nono Municipio, Susy Fantino, incalza il primo cittadino, accusandolo di non aver dato ascolto alle segnalazioni provenute dal quartiere. Lui non ci sta, rifiuta di polemizzare: «Non si strumentalizzano i morti», dice.
«Queste burocrazie maledette che hanno bloccato il nostro piano nomadi hanno prodotto questo effetto – si sfoga -. Noi avevamo individuato il campo della Barbuta, avremmo potuto ampliarlo. E invece siamo stati bloccati». Prima un ricorso al Tar del Comune di Ciampino, spiega, poi «la sovrintendenza ci ha bloccati perchè ha trovato non so che tomba…». «I poteri conferiti al prefetto in materia – aggiunge – non sono sufficienti. Servono poteri speciali. Dobbiamo costruire campi autorizzati, ben attrezzati, e in grado di garantire condizioni di sicurezza per queste persone. A Roma ci sono già tre aree a disposizione». «Non è ammissibile – continua – che queste persone vivano in delle baracche di plastica che con un cerino possono trasformarsi in un forno crematorio, dove si muore in modo così assurdo e vergognoso». L’attacco ai cavilli burocratici non convince, però, la presidente del quartiere: «Non credo si possa dire che il problema sono i ‘cavillì. Da due anni a questa parte evidenziamo il livello di degrado di queste baracche. L’ultima segnalazione è stata mandata 15-20 giorni fa».
Una circostanza che il sindaco sminuisce: «Non so se ci sia stata una segnalazione. Il punto però non è questo. Il problema è che, se non abbiamo campi regolari, non c’è fisicamente il luogo in cui portare queste persone». Per la Fantino, comunque, resta l’incongruenza delle politiche del Campidoglio: «Nell’elenco del piano dei campi da spostare hanno inserito l’unico regolare della zona. Questi microinsediamenti, invece, nessuno li ha considerati».
TANTE LE PICCOLE VITTIME DEL FUOCO Le quattro piccole vittime di questa sera a Roma dell’incendio di un campo rom allungano lunga la scia delle morti di bambini, spesso rom, provocate dal fuoco: a volte a causa di fatalità o tragici giochi, ma con allarmante frequenza disgrazie legate alle difficili e precarie condizioni di vita nei campi nomadi. Il più grave, che ricorda proprio quello avvenuto oggi a Roma, risale al 21 gennaio 1995 quando quattro bambini nomadi tra i sette mesi ed i quattro anni e mezzo morirono carbonizzati a Milano in un campo abusivo. I bambini, slavi, dormivano con la mamma nella loro roulotte quando un fornello della cucina, lasciato acceso nel tentativo di riscaldare l’ambiente, diede fuoco ai giacigli e fece esplodere la bombola del gas.
Il 22 luglio 1996 a Pignola (Potenza) due fratelli, di tre anni e mezzo il primo e di due anni la seconda, morirono nell’ incendio di un prefabbricato nel quale vivevano con i genitori. Il 19 ottobre 2000, nel campo nomadi «Il poderaccio» di Firenze, Silvana Haliti, 5 anni e mezzo, kosovara, morì nel sonno nella baracca dove viveva con la famiglia.
Il 16 febbraio 2003 due sorelle, rispettivamente di otto e quattro anni, persero la vita, per intossicazione da fumo, a Montalbano Elicona (Messina) tra le fiamme della loro casa.
Il 19 agosto 2004 un bambino di 16 mesi e la madre morirono a Ripa Teatina (Chieti) in seguito all’ incendio divampato nella loro abitazione.
L’ 8 settembre 2004 un bambino di tre anni, egiziano, perse la vita a Galliera Veneta (Padova) dopo essere rimasto ustionato ed intossicato nell’ incendio divampato nella sua casa. Il 16 ottobre 2005 una bambina di 5 anni morì carbonizzata nella sua stanza a seguito di un incendio causato dall’ esplosione di un televisore.
Il giorno di Capodanno 2006 un bambino di sei anni morì a Cortina d’ Ampezzo (Belluno) nell’ incendio di un appartamento preso in affitto dai genitori per le festività. Altre quattro persone – due bambini e due adulti – rimasero ferite.
Il 7 dicembre 2006 a Tempio Pausania (Olbia-Tempio) persero la vita due sorelle, di quattro e tre anni, per asfissia seguita all’ incendio della loro casa.
Altre due giovani vittime rom, il 3 gennaio 2007: un incendio uccise una ragazza di 15 anni e il convivente di 16 in un campo nomadi ad Orta di Atella, in provincia di Caserta.
Il 13 gennaio 2007, in un appartamento nel centro di Roma abitato da immigrati bengalesi, per sfuggire ad un incendio accidentale si gettarano nel vuoto e morirono una donna e suo figlio di 10 anni.
Il 2 febbraio 2007, tre fratelli morirono nell’incendio della loro abitazione nel vicentino per un incendio innescato da un tragico gioco.
L’11 agosto 2007 quattro bambini muoiono in un incendio in una capanna nei pressi di un campo rom a Livorno.
La notte del 27 marzo scorso, in una baracca di fortuna costruita a Follonica (Grosseto), mori carbonizzata una bambina rom di 5 mesi.